I residence per anziani sono un’ottima soluzione per affrontare in totale serenità la vecchiaia che avanza e per gestire al meglio i disagi che ne conseguono. Come capire però, quando è venuto il momento di trovare una soluzione assistenziale più adeguata? Quali “problemi”, quali “avvisaglie” cessano di essere innocenti “distrazioni” e devono essere interpretati come un chiaro campanello d’allarme? Te lo spieghiamo in questo articolo.

Decidere di trasferirsi in un residence per anziani, anche solo per un breve periodo di tempo, rappresenta una decisione faticosa per la persona anziana e piena di sensi di colpa per i suoi famigliari. Quando invece, le residenze per anziani autosufficienti come Residenza Bergoglio sono tutto fuorché un ospizio per vecchietti tristi e soli: sono la cornice ideale in cui accostarsi con serenità ad una nuova fase della vecchiaia.

Lo ripetiamo, “una nuova fase delle vecchiaia” perché, il nocciolo della questione risiede proprio in questo: oggigiorno non è più possibile parlare di terza età quando ci si riferisce all’ampia categoria degli over 65.

I genitori anziani di questi tempi, sempre più abili nel destreggiarsi tra la gestione dei nipoti (con le loro lezioni di danza, partite di basket, ecc.), i pomeriggi con gli amici o le amiche ed i viaggi verso mete lontane, sono lontani anni luce dal ricordo che serbiamo dei nostri nonni che, alla loro stessa età, ravvisavano già da tempo i chiari segnali di una vecchiaia invalidante. Il fatto è che stiamo ancora utilizzando i 65 anni come soglia ufficiale di anzianità. Si attribuisce addirittura al cancelliere tedesco Otto Von Bismarck 1815-1898 la scelta che la vecchiaia inizi a 65 anni!

Quando invece, le prospettive di vita media si sono oramai così allungate da poter dividere la famosa Terza Età in almeno tre – quattro fasi distinte:

La prima fase è quella dei cosiddetti “giovani anziani”
Include tutte le persone di età compresa tra i 64 e i 74 anni, con buone condizioni di salute e ben inserite nel tessuto sociale.

La seconda fase è quella degli “anziani”
Rientrano le persone tra i 75 e gli 84 anni che iniziano a manifestare una crescente sensibilità a disagi, sindromi, lesioni e malattie.

La terza fase è quella dei “grandi vecchi”
Include le persone tra gli 85 ed i 99 anni di età, che vertono in un’evidente condizione di vecchiaia … nel senso più canonico del termine.

Infine, la quarta ed ultima fase, quella dei centenari
Sono sempre più comuni stando anche al rapporto “Cent’anni e non sentirli“, pubblicato dall’Istat che evidenzia come in dieci anni (dal 2009 al 2019) i centenari siano passati da 11mila a oltre 14mila, mentre quelli di 105 anni e oltre da 472 a 1.112. Nel panorama europeo l’Italia, insieme alla Francia, detiene il record di Paese più longevo.

Si dovrebbe, in altri termini, aggiornare il concetto di anzianità, spostando a 75 anni l’età giusta per definire OGGI una persona come anziana.

Se così facessimo, allora sì che, diventerebbe più facile prendere consapevolezza della quella seconda fase della Terza Età in cui, ad un certo punto, i nostri genitori anziani faticano sempre più a stare dietro ai nipotini, hanno meno voglia di uscire e stare in mezzo alle persone, mentre le loro disattenzioni e difficoltà diventano sempre più frequenti e limitanti.

È in questa fase che occorre essere pronti ad individuare e ad accettare i primi chiari segnali di un crescente decadimento psico-fisico e della capacità di badare a se stessi quali, ad esempio: 

Frequenti cadute in casa o per strada

Le cadute sono un primo chiaro segnale di un deterioramento nella condizione fisica di una persona anziana che, con il tempo, tende a perdere mobilità ed equilibrio. Le cadute in età avanzata sono comuni soprattutto tra le persone che vivono in casa da sole (dove il rischio ambientale è più alto) e costituiscono una delle principali minacce per la salute degli anziani dato che possono causare fratture ossee o contusioni.

Perdita di autonomia

Dimenticarsi di prendere le medicine, trascurare la propria alimentazione (dall’andare a fare la spesa al cucinare anche piatti semplici), scordare di pagare delle bollette … sono tutti evidenti segnali di una crescente condizione di vulnerabilità che sconvolge delicati equilibri: tanto nella persona anziana, costretta ad ammettere i propri limiti, quanto nei suoi famigliari, coinvolti sia su un piano emotivo che puramente organizzativo. Eppure, ostinarsi a lasciare il genitore anziano a vivere da solo può esporlo a rischi anche gravi.

Perdita di attenzione

Strettamente associata alla perdita di autonomia, la perdita di attenzione, le distrazioni sempre più frequenti, possono trasformarsi in una fonte di rischio che a un certo punto non può più essere ignorata. Non è solo più una questione di simpatiche dimenticanze, a cominciare dal sentirsi ripetere centinaia volte la stessa cosa. Si tratta di quelle situazioni in cui un genitore anziano può non ricordare se ha mangiato o meno oppure dimenticare la strada per tornare a casa.

Isolamento, solitudine, depressione

Evitare la frequentazione dei luoghi e delle persone che fino a poco tempo fa allietavano le giornate. Abbandonare sempre più spesso gli hobby o i piccoli interessi quotidiani come leggere un libro o cucire. Apatia o al contrario crescente scontrosità … sono tutti segnali di una situazione depressiva che non deve essere minimamente trascurata e che il continuare a vivere da soli potrebbe invece peggiorare.

Di fronte a simili e manifesti segnali, è importante accettare con serenità il cambiamento aiutando il genitore anziano a convivere con i nuovi limiti e valutando con estrema obiettività se accoglierlo in casa propria può essere una soluzione sostenibile per tutti. O se, al contrario, affidarsi ad un residence per anziani autosufficienti come Residenza Bergoglio non rappresenti la soluzione più adatta per la serenità di tutti.

 

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